Niccolò Machiavelli
Il Principe
Capitolo XVI
Della liberalità e della parsimonia
De liberalitate et parsimonia
1. - Cominciandomi,
adunque alle prime soprascritte qualità dico come sarebbe bene essere tenuto liberale:
non di manco, la liberalità, usata in modo che tu sia tenuto, ti offende; perché se ella
si usa virtuosamente e come la si debbe usare, la non fia conosciuta, e non ti cascherà
l'infamia del suo contrario. E però, a volersi mantenere infra li uomini el nome del
liberale, è necessario non lasciare indrieto alcuna qualità di suntuosità; talmente
che, sempre uno principe cosí fatto consumerà in simili opere tutte le sue facultà; e
sarà necessitato alla fine, se si vorrà mantenere el nome del liberale, gravare e populi
estraordinariamente et essere fiscale, e fare tutte quelle cose che si possono fare per
avere danari. Il che comincerà a farlo odioso con sudditi, e poco stimare da nessuno,
diventando povero; in modo che, con questa sua liberalità avendo offeso li assai e
premiato e pochi, sente ogni primo disagio, e periclita in qualunque primo periculo: il
che conoscendo lui, e volendosene ritrarre, incorre subito nella infamia del misero.
2. - Uno principe,
adunque, non potendo usare questa virtù del liberale sanza suo danno, in modo che la sia
conosciuta, debbe, s'elli è prudente, non si curare del nome del misero: perché col
tempo sarà tenuto sempre più liberale, veggendo che con la sua parsimonia le sua intrate
li bastano, può defendersi da chi li fa guerra, può fare imprese sanza gravare e populi;
talmente che viene a usare liberalità a tutti quelli a chi non toglie, che sono infiniti,
e miseria a tutti coloro a chi non dà, che sono pochi. Ne' nostri tempi noi non abbiamo
veduto fare gran cose se non a quelli che sono stati tenuti miseri; li altri essere
spenti. Papa Iulio II, come si fu servito del nome del liberale per aggiugnere al papato,
non pensò poi a mantenerselo, per potere fare guerra. El re di Francia presente ha fatto
tante guerre sanza porre uno dazio estraordinario a' sua, solum perché alle superflue
spese ha sumministrato la lunga parsimonia sua. El re di Spagna presente, se fussi tenuto
liberale, non arebbe fatto né vinto tante imprese.
3. - Per tanto, uno
principe debbe esistimare poco, per non avere a rubare e sudditi, per potere defendersi,
per non diventare povero e contennendo, per non essere forzato di diventare rapace, di
incorrere nel nome del misero; perché questo è uno di quelli vizii che lo fanno regnare.
E se alcuno dicessi: Cesare con la liberalità pervenne allo imperio, e molti altri, per
essere stati et essere tenuti liberali, sono venuti a gradi grandissimi; rispondo: o tu
se' principe fatto, o tu se' in via di acquistarlo: nel primo caso, questa liberalità è
dannosa; nel secondo, è bene necessario essere tenuto liberale. E Cesare era uno di
quelli che voleva pervenire al principato di Roma; ma, se, poi che vi fu venuto, fussi
sopravvissuto, e non si fussi temperato da quelle spese, arebbe destrutto quello imperio.
E se alcuno replicassi: molti sono stati principi, e con li eserciti hanno fatto gran
cose, che sono stati tenuti liberalissimi; ti respondo: o el principe spende del suo e de'
sua sudditi, o di quello d'altri; nel primo caso, debbe essere parco; nell'altro, non
debbe lasciare indrieto parte alcuna di liberalità.
4. - E quel principe che
va con li eserciti, che si pasce di prede, di sacchi e di taglie, maneggia quel di altri,
li è necessaria questa liberalità; altrimenti non sarebbe seguíto da' soldati. E di
quello che non è tuo, o di sudditi tua, si può essere più largo donatore: come fu Ciro,
Cesare e Alessandro; perché lo spendere quello d'altri non ti toglie reputazione, ma te
ne aggiugne; solamente lo spendere el tuo è quello che ti nuoce. E non ci è cosa che
consumi sé stessa quanto la liberalità: la quale mentre che tu usi, perdi la facultà di
usarla; e diventi, o povero e contennendo, o, per fuggire la povertà, rapace e odioso. Et
intra tutte le cose di che uno principe si debbe guardare, è lo essere contennendo et
odioso; e la liberalità all'una e l'altra cosa ti conduce. Per tanto è più sapienzia
tenersi el nome del misero, che partorisce una infamia sanza odio, che, per volere el nome
del liberale, essere necessitato incorrere nel nome di rapace, che partorisce una infamia
con odio.
Capitolo XVII
Della crudeltà e pietà
e s'elli è meglio esser amato che temuto, o più tosto temuto che amato
De crudelitate et pietate; et an sit melius amari quam timeri, vel e contra
1. - Scendendo appresso alle altre preallegate qualità, dico che ciascuno principe debbe desiderare di essere tenuto pietoso e non crudele: non di manco debbe avvertire di non usare male questa pietà. Era tenuto Cesare Borgia crudele; non di manco quella sua crudeltà aveva racconcia la Romagna, unitola, ridottola in pace et in fede. Il che se si considerrà bene, si vedrà quello essere stato molto più pietoso che il populo fiorentino, il quale, per fuggire el nome del crudele, lasciò destruggere Pistoia. Debbe, per tanto, uno principe non si curare della infamia di crudele, per tenere e sudditi sua uniti et in fede; perché, con pochissimi esempli sarà più pietoso che quelli e quali, per troppa pietà, lasciono seguire e disordini, di che ne nasca occisioni o rapine: perché queste sogliono offendere una universalità intera, e quelle esecuzioni che vengono dal principe offendono uno particulare. Et intra tutti e principi, al principe nuovo è impossibile fuggire el nome di crudele, per essere li stati nuovi pieni di pericoli. E Virgilio, nella bocca di Didone, dice:
Res dura, et regni novitas me talia cogunt Moliri, et late fines custode tueri. |
Non di manco debbe essere
grave al credere et al muoversi, né si fare paura da sé stesso, e procedere in modo
temperato con prudenza et umanità, che la troppa confidenzia non lo facci incauto e la
troppa diffidenzia non lo renda intollerabile.
2. - Nasce da questo una
disputa: s'elli è meglio essere amato che temuto, o e converso. Rispondesi che si
vorrebbe essere l'uno e l'altro; ma perché elli è difficile accozzarli insieme, è molto
più sicuro essere temuto che amato, quando si abbia a mancare dell'uno de' dua. Perché
delli uomini si può dire questo generalmente: che sieno ingrati, volubili, simulatori e
dissimulatori, fuggitori de' pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene, sono
tutti tua, ófferonti el sangue, la roba, la vita e figliuoli, come di sopra dissi, quando
il bisogno è discosto; ma, quando ti si appressa, e' si rivoltano. E quel principe che si
è tutto fondato in sulle parole loro, trovandosi nudo di altre preparazioni, rovina;
perché le amicizie che si acquistano col prezzo, e non con grandezza e nobiltà di animo,
si meritano, ma elle non si hanno, et a' tempi non si possano spendere. E li uomini hanno
meno respetto a offendere uno che si facci amare, che uno che si facci temere; perché
l'amore è tenuto da uno vinculo di obbligo, il quale, per essere li uomini tristi, da
ogni occasione di propria utilità è rotto; ma il timore è tenuto da una paura di pena
che non abbandona mai.
3. - Debbe, nondimanco,
el principe farsi temere in modo, che, se non acquista lo amore, che fugga l'odio; perché
può molto bene stare insieme esser temuto e non odiato; il che farà sempre, quando si
astenga dalla roba de' sua cittadini e de' sua sudditi, e dalle donne loro: e quando pure
li bisognasse procedere contro al sangue di alcuno, farlo quando vi sia iustificazione
conveniente e causa manifesta; ma, sopra tutto, astenersi dalla roba d'altri; perché li
uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio. Di poi,
le cagioni del tòrre la roba non mancono mai; e, sempre, colui che comincia a vivere con
rapina, truova cagione di occupare quel d'altri; e, per avverso, contro al sangue sono
più rare e mancono più presto.
4. - Ma, quando el
principe è con li eserciti e ha in governo moltitudine di soldati, allora al tutto è
necessario non si curare del nome di crudele; perché sanza questo nome non si tenne mai
esercito unito né disposto ad alcuna fazione. Intra le mirabili azioni di Annibale si
connumera questa, che, avendo uno esercito grossissimo, misto di infinite generazioni di
uomini, condotto a militare in terre aliene, non vi surgessi mai alcuna dissensione, né
infra loro né contro al principe, cosí nella cattiva come nella sua buona fortuna. Il
che non poté nascere da altro che da quella sua inumana crudeltà, la quale, insieme con
infinite sua virtù, lo fece sempre nel cospetto de' suoi soldati venerando e terribile; e
sanza quella, a fare quello effetto le altre sua virtù non li bastavano. E li scrittori
poco considerati, dall'una parte ammirano questa sua azione, dall'altra dannono la
principale cagione di essa.
5. - E che sia vero che
l'altre sua virtù non sarebbano bastate, si può considerare in Scipione, rarissimo non
solamente ne' tempi sua, ma in tutta la memoria delle cose che si sanno, dal quale li
eserciti sua in Ispagna si rebellorno. Il che non nacque da altro che dalla troppa sua
pietà, la quale aveva data a' sua soldati più licenzia che alla disciplina militare non
si conveniva. La qual cosa li fu da Fabio Massimo in Senato rimproverata, e chiamato da
lui corruttore della romana milizia. E Locrensi, sendo stati da uno legato di Scipione
destrutti, non furono da lui vendicati, né la insolenzia di quello legato corretta,
nascendo tutto da quella sua natura facile; talmente che, volendolo alcuno in Senato
escusare, disse come elli erano di molti uomini che sapevano meglio non errare, che
correggere li errori. La qual natura arebbe col tempo violato la fama e la gloria di
Scipione, se elli avessi con essa perseverato nello imperio; ma, vivendo sotto el governo
del Senato, questa sua qualità dannosa non solum si nascose, ma li fu a gloria.
6. - Concludo adunque,
tornando allo essere temuto e amato, che, amando li uomini a posta loro, e temendo a posta
del principe, debbe uno principe savio fondarsi in su quello che è suo, non in su quello
che è d'altri: debbe solamente ingegnarsi di fuggire l'odio, come è detto.
Capitolo XVIII
In che modo e principi abbino a mantenere la fede
Quomodo fides a principibus sit servanda
1. - Quanto sia
laudabile in uno principe mantenere la fede e vivere con integrità e non con astuzia,
ciascuno lo intende: non di manco si vede, per esperienzia ne' nostri tempi, quelli
principi avere fatto gran cose che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo
con l'astuzia aggirare e cervelli delli uomini; et alla fine hanno superato quelli che si
sono fondati in sulla lealtà.
2. - Dovete adunque
sapere come sono dua generazione di combattere: l'uno con le leggi, l'altro con la forza:
quel primo è proprio dello uomo, quel secondo delle bestie: ma, perché el primo molte
volte non basta, conviene ricorrere al secondo. Pertanto, a uno principe è necessario
sapere bene usare la bestia e lo uomo. Questa parte è suta insegnata a' principi
copertamente dalli antichi scrittori; li quali scrivono come Achille, e molti altri di
quelli principi antichi, furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua
disciplina li custodissi. Il che non vuol dire altro, avere per precettore uno mezzo
bestia e mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l'una e l'altra
natura; e l'una sanza l'altra non è durabile.
3. - Sendo adunque uno
principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il
lione; perché il lione non si defende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi.
Bisogna, adunque, essere golpe a conoscere e lacci, e lione a sbigottire e lupi. Coloro
che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può, pertanto, uno
signore prudente, né debbe, osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e
che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E, se li uomini fussino tutti buoni,
questo precetto non sarebbe buono; ma perché sono tristi, e non la osservarebbano a te,
tu etiam non l'hai ad osservare a loro. Né mai a uno principe mancorno cagioni legittime
di colorare la inosservanzia. Di questo se ne potrebbe dare infiniti esempli moderni e
mostrare quante paci, quante promesse sono state fatte irrite e vane per la infedelità
de' principi: e quello che ha saputo meglio usare la golpe, è meglio capitato. Ma è
necessario questa natura saperla bene colorire, et essere gran simulatore e dissimulatore:
e sono tanto semplici li uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui
che inganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare.
4. - Io non voglio, delli
esempli freschi, tacerne uno. Alessandro VI non fece mai altro, non pensò mai ad altro,
che ad ingannare uomini: e sempre trovò subietto da poterlo fare. E non fu mai uomo che
avessi maggiore efficacia in asseverare, e con maggiori giuramenti affermassi una cosa,
che l'osservassi meno; non di meno sempre li succederono li inganni ad votum, perché
conosceva bene questa parte del mondo. A uno principe, adunque, non è necessario avere in
fatto tutte le soprascritte qualità, ma è bene necessario parere di averle. Anzi ardirò
di dire questo, che, avendole e osservandole sempre, sono dannose, e parendo di averle,
sono utili: come parere pietoso, fedele, umano, intero, religioso, ed essere; ma stare in
modo edificato con l'animo, che, bisognando non essere, tu possa e sappi mutare el
contrario. Et hassi ad intendere questo, che uno principe, e massime uno principe nuovo,
non può osservare tutte quelle cose per le quali gli uomini sono tenuti buoni, sendo
spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità,
contro alla umanità, contro alla religione. E però bisogna che elli abbi uno animo
disposto a volgersi secondo ch'e venti della fortuna e le variazioni delle cose li
comandano, e, come di sopra dissi, non partirsi dal bene, potendo, ma sapere intrare nel
male, necessitato.
5. - Debbe, adunque,
avere uno principe gran cura che non li esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle
soprascritte cinque qualità, e paia, a vederlo e udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto
integrità, tutto religione. E non è cosa più necessaria a parere di avere che questa
ultima qualità. E li uomini in universali iudicano più alli occhi che alle mani; perché
tocca a vedere a ognuno, a sentire a pochi. Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono
quello che tu se' ; e quelli pochi non ardiscano opporsi alla opinione di molti che abbino
la maestà dello stato che li difenda: e nelle azioni di tutti li uomini, e massime de'
principi, dove non è iudizio da reclamare, si guarda al fine. Facci dunque uno principe
di vincere e mantenere lo stato: e mezzi saranno sempre iudicati onorevoli, e da ciascuno
laudati; perché el vulgo ne va preso con quello che pare e con lo evento della cosa; e
nel mondo non è se non vulgo; e li pochi ci hanno luogo quando li assai hanno dove
appoggiarsi. Alcuno principe de' presenti tempi, quale non è bene nominare, non predica
mai altro che pace e fede, e dell'una e dell'altra è inimicissimo; e l'una e l'altra,
quando e l'avessi osservata, li arebbe più volte tolto o la reputazione o lo stato.
Capitolo XIX
In che modo si abbia a fuggire lo essere sprezzato e odiato
De contemptu et odio fugiendo
1. - Ma perché, circa
le qualità di che di sopra si fa menzione io ho parlato delle più importanti, l'altre
voglio discorrere brevemente sotto queste generalità, che il principe pensi, come di
sopra in parte è detto, di fuggire quelle cose che lo faccino odioso e contennendo; e
qualunque volta fuggirà questo, arà adempiuto le parti sua, e non troverrà nelle altre
infamie periculo alcuno. Odioso lo fa, sopr'a tutto, come io dissi, lo essere rapace e
usurpatore della roba e delle donne de' sudditi: di che si debbe astenere; e qualunque
volta alle universalità delli uomini non si toglie né roba né onore, vivono contenti, e
solo si ha a combattere con la ambizione di pochi, la quale in molti modi, e con facilità
si raffrena. Contennendo lo fa esser tenuto vario, leggieri, effeminato, pusillanime,
irresoluto: da che uno principe si debbe guardare come da uno scoglio, et ingegnarsi che
nelle azioni sua si riconosca grandezza, animosità, gravità, fortezza, e, circa maneggi
privati de' sudditi, volere che la sua sentenzia sia irrevocabile; e si mantenga in tale
opinione, che alcuno non pensi né a ingannarlo né ad aggirarlo.
2. - Quel principe che
dà di sé questa opinione, è reputato assai; e contro a chi è reputato, con difficultà
si congiura, con difficultà è assaltato, purché s'intenda che sia eccellente e reverito
da' sua. Perché uno principe debbe avere dua paure: una dentro, per conto de' sudditi;
l'altra di fuora, per conto de' potentati esterni. Da questa si difende con le buone arme
e con li buoni amici; e sempre, se arà buone arme, arà buoni amici; e sempre staranno
ferme le cose di dentro, quando stieno ferme quelle di fuora, se già le non fussino
perturbate da una congiura; e quando pure quelle di fuora movessino, s'elli è ordinato e
vissuto come ho detto, quando non si abbandoni, sempre sosterrà ogni impeto, come io
dissi che fece Nabide spartano.
3. - Ma, circa e sudditi,
quando le cose di fuora non muovino, si ha a temere che non coniurino secretamente: di che
el principe si assicura assai, fuggendo lo essere odiato o disprezzato, e tenendosi el
populo satisfatto di lui; il che è necessario conseguire, come di sopra a lungo si disse.
Et uno de' più potenti rimedii che abbi uno principe contro alle coniure, è non essere
odiato dallo universale: perché sempre chi coniura crede con la morte del principe
satisfare al populo; ma, quando creda offenderlo, non piglia animo a prendere simile
partito, perché le difficultà che sono dalla parte de' coniuranti sono infinite. E per
esperienzia si vede molte essere state le coniure, e poche avere avuto buon fine. Perché
chi coniura non può essere solo, ne può prendere compagnia se non di quelli che creda
esser malcontenti; e subito che a uno mal contento tu hai scoperto l'animo tuo, li dài
materia a contentarsi, perché manifestamente lui ne può sperare ogni commodità:
talmente che, veggendo el guadagno fermo da questa parte, e dall'altra veggendolo dubio e
pieno di periculo, conviene bene o che sia raro amico, o che sia al tutto ostinato inimico
del principe, ad osservarti la fede.
4. - E, per ridurre la
cosa in brevi termini, dico che dalla parte del coniurante, non è se non paura, gelosia,
sospetto di pena che lo sbigottisce; ma, dalla parte del principe, è la maestà del
principato, le leggi, le difese delli amici e dello stato che lo difendano: talmente che,
aggiunto a tutte queste cose la benivolenzia populare, è impossibile che alcuno sia sí
temerario che coniuri. Perché, per lo ordinario, dove uno coniurante ha a temere innanzi
alla esecuzione del male, in questo caso debbe temere ancora poi (avendo per inimico el
populo) seguíto lo eccesso, né potendo per questo sperare refugio alcuno.
5. - Di questa materia se
ne potria dare infiniti esempli; ma voglio solo esser contento di uno, seguito alla
memoria de' padri nostri. Messer Annibale Bentivogli, avolo del presente messer Annibale,
che era principe in Bologna, sendo da' Canneschi, che li coniurorono contro suto
ammazzato, né rimanendo di lui altri che messer Giovanni, che era in fasce, subito dopo
tale omicidio, si levò el populo et ammazzò tutti e Canneschi. Il che nacque dalla
benivolenzia populare che la casa de' Bentivogli aveva in quelli tempi: la quale fu tanta,
che, non restando di quella alcuno in Bologna che potessi, morto Annibale, reggere lo
stato, et avendo indizio come in Firenze era uno nato de' Bentivogli che si teneva fino
allora figliuolo di uno fabbro, vennono e Bolognesi per quello in Firenze, e li dettono el
governo di quella città: la quale fu governata da lui fino a tanto che messer Giovanni
pervenissi in età conveniente al governo.
6. - Concludo, per tanto,
che uno principe debbe tenere delle coniure poco conto, quando el popolo li sia benivolo;
ma, quando li sia inimico et abbilo in odio, debbe temere d'ogni cosa e d'ognuno. E li
stati bene ordinati e li principi savi hanno con ogni diligenzia pensato di non desperare
e grandi e di satisfare al populo e tenerlo contento; perché questa è una delle più
importanti materie che abbia uno principe.
7. - Intra e regni bene
ordinati e governati, a' tempi nostri, è quello di Francia: et in esso si truovano
infinite constituzione buone, donde depende la libertà e sicurtà del re; delle quali la
prima è il parlamento e la sua autorità. Perché quello che ordinò quel regno,
conoscendo l'ambizione de' potenti e la insolenzia loro, e iudicando esser loro necessario
uno freno in bocca che li correggessi e, da altra parte, conoscendo l'odio dello
universale contro a' grandi fondato in sulla paura, e volendo assicurarli, non volse che
questa fussi particulare cura del re, per tòrli quel carico che potessi avere co' grandi
favorendo li populari, e co' populari favorendo e grandi; e però constituí uno iudice
terzo, che fussi quello che, sanza carico del re battessi e grandi e favorissi e minori.
Né poté essere questo ordine migliore né più prudente, né che sia maggiore cagione
della securtà del re e del regno. Di che si può trarre un altro notabile: che li
principi debbano le cose di carico fare sumministrare ad altri, quelle di grazia a loro
medesimi. Di nuovo concludo che uno principe debbe stimare e grandi, ma non si fare odiare
dal populo.
8. - Parrebbe forse a
molti, considerato la vita e morte di alcuno imperatore romano, che fussino esempli
contrarii a questa mia opinione, trovando alcuno essere vissuto sempre egregiamente e
monstro grande virtù d'animo, non di meno avere perso lo imperio, ovvero essere stato
morto da' sua, che li hanno coniurato contro. Volendo per tanto rispondere a queste
obiezioni, discorrerò le qualità di alcuni imperatori, mostrando le cagioni della loro
ruina, non disforme da quello che da me si è addutto; e parte metterò in considerazione
quelle cose che sono notabili a chi legge le azioni di quelli tempi. E voglio mi basti
pigliare tutti quelli imperatori che succederono allo imperio da Marco filosofo a
Massimino: li quali furono Marco, Commodo suo figliuolo, Pertinace, Iuliano, Severo,
Antonino Caracalla suo figliuolo, Macrino, Eliogabalo, Alessandro e Massimino.
9. - Ed è prima da
notare che dove nelli altri principati si ha solo a contendere con la ambizione de' grandi
et insolenzia de' populi, li imperatori romani avevano una terza difficultà, di avere a
sopportare la crudeltà et avarizia de' soldati. La qual cosa era sí difficile che la fu
cagione della ruina di molti; sendo difficile satisfare a' soldati et a' populi; perché e
populi amavono la quiete, e per questo amavono e principi modesti, e li soldati amavono el
principe d'animo militare, e che fussi insolente, crudele e rapace.
10. - Le quali cose
volevano che lui esercitassi ne' populi, per potere avere duplicato stipendio e sfogare la
loro avarizia e crudeltà. Le quali cose feciono che quelli imperatori che, per natura o
per arte, non aveano una grande reputazione, tale che con quella tenessino l'uno e l'altro
in freno, sempre ruinavono; e li più di loro, massime quelli che come uomini nuovi
venivano al principato, conosciuta la difficultà di questi dua diversi umori, si
volgevano a satisfare a' soldati, stimando poco lo iniuriare el populo. Il quale partito
era necessario: perché, non potendo e principi mancare di non essere odiati da qualcuno,
si debbano prima forzare di non essere odiati dalla università; e, quando non possono
conseguire questo, si debbono ingegnare con ogni industria fuggire l'odio di quelle
università che sono più potenti. E però quelli imperatori che per novità avevano
bisogno di favori estraordinarii, si aderivano a' soldati più tosto che a' populi: il che
tornava loro, non di meno, utile o no, secondo che quel principe si sapeva mantenere
reputato con loro.
11. - Da queste cagioni
sopradette nacque che Marco, Pertinace et Alessandro, sendo tutti di modesta vita, amatori
della iustizia, nimici della crudeltà, umani e benigni, ebbono tutti, da Marco in fuora,
tristo fine. Marco solo visse e morí onoratissimo, perché lui succedé allo imperio iure
hereditario, e non aveva a riconoscere quello né da' soldati né da' populi; di poi,
sendo accompagnato da molte virtù che lo facevano venerando, tenne sempre, mentre che
visse. l'uno ordine e l'altro intra termini sua, e non fu mai né odiato né disprezzato.
Ma Pertinace fu creato imperatore contro alla voglia de' soldati, li quali, sendo usi a
vivere licenziosamente sotto Commodo, non poterono sopportare quella vita onesta alla
quale Pertinace li voleva ridurre; onde, avendosi creato odio, et a questo odio aggiunto
el disprezzo sendo vecchio ruinò ne' primi principii della sua amministrazione.
12. - E qui si debbe
notare che l'odio s'acquista cosí mediante le buone opere, come le triste: e però, come
io dissi di sopra, uno principe, volendo mantenere lo stato, è spesso forzato a non
essere buono; perché, quando quella università, o populo o soldati o grandi che sieno,
della quale tu iudichi avere per mantenerti bisogno, è corrotta, ti conviene seguire
l'umore suo per satisfarlo, et allora le buone opere ti sono nimiche. Ma vegnamo ad
Alessandro: il quale fu di tanta bontà, che intra le altre laude che li sono attribuite,
è questa, che in quattordici anni che tenne l'imperio, non fu mai morto da lui alcuno
iniudicato; non di manco, sendo tenuto effeminato et uomo che si lasciassi governare alla
madre, e per questo venuto in disprezzo, conspirò in lui l'esercito, e ammazzollo.
13. - Discorrendo ora,
per opposito, le qualità di Commodo, di Severo, Antonino Caracalla e Massimino, li
troverrete crudelissimi e rapacissimi; li quali, per satisfare a' soldati, non perdonorono
ad alcuna qualità di iniuria che ne' populi si potessi commettere; e tutti, eccetto
Severo, ebbono triste fine. Perché in Severo fu tanta virtù, che, mantenendosi soldati
amici, ancora che populi fussino da lui gravati, possé sempre regnare felicemente;
perché quelle sua virtù lo facevano nel conspetto de' soldati e de' populi sí mirabile,
che questi rimanevano quodam modo attoniti e stupidi, e quelli altri reverenti e
satisfatti. E perché le azioni di costui furono grandi in un principe nuovo, io voglio
mostrare brevemente quanto bene seppe usare la persona della golpe e del lione: le quali
nature io dico di sopra essere necessario imitare a uno principe.
14. - Conosciuto Severo
la ignavia di Iuliano imperatore, persuase al suo esercito, del quale era in Stiavonia
capitano, che gli era bene andare a Roma a vendicare la morte di Pertinace, il quale da'
soldati pretoriani era suto morto; e sotto questo colore, sanza mostrare di aspirare allo
imperio, mosse lo esercito contro a Roma; e fu prima in Italia che si sapessi la sua
partita. Arrivato, a Roma, fu dal Senato, per timore, eletto imperatore e morto Iuliano.
Restava, dopo questo principio, a Severo dua difficultà, volendosi insignorire di tutto
lo stato: l'una in Asia, dove Nigro, capo delli eserciti asiatici, s'era fatto chiamare
imperatore; e l'altra in ponente, dove era Albino, quale ancora lui aspirava allo imperio.
E, perché iudicava periculoso scoprirsi inimico a tutti e dua, deliberò di assaltare
Nigro et ingannare Albino. Al quale scrisse come, sendo dal Senato eletto imperatore,
voleva partecipare quella dignità con lui; e mandolli el titulo di Cesare, e per
deliberazione del Senato, se lo aggiunse collega: le quali cose da Albino furono accettate
per vere. Ma, poiché Severo ebbe vinto e morto Nigro, e pacate le cose orientali,
ritornatosi a Roma, si querelò in Senato, come Albino, poco conoscente de' benefizii
ricevuti da lui, aveva dolosamente cerco di ammazzarlo, e per questo lui era necessitato
andare a punire la sua ingratitudine. Di poi andò a trovarlo in Francia, e li tolse lo
stato e la vita.
15. - Chi esaminerà
adunque tritamente le azioni di costui, lo troverrà uno ferocissimo lione et una
astutissima golpe; e vedrà quello temuto e reverito da ciascuno, e dalli eserciti non
odiato; e non si maraviglierà se lui, uomo nuovo, arà possuto tenere tanto imperio:
perché la sua grandissima reputazione lo difese sempre da quello odio ch'e populi per le
sue rapine avevano potuto concipere. Ma Antonino suo figliuolo fu ancora lui uomo che
aveva parte eccellentissime e che lo facevano maraviglioso nel conspetto de' populi e
grato a' soldati; perché era uomo militare, sopportantissimo d'ogni fatica, disprezzatore
d'ogni cibo delicato e d'ogni altra mollizia: la qual cosa lo faceva amare da tutti li
eserciti. Non di manco la sua ferocia e crudeltà fu tanta e sí inaudita, per avere, dopo
infinite occisioni particulari, morto gran parte del populo di Roma, e tutto quello di
Alessandria, che diventò odiosissimo a tutto il mondo; e cominciò ad essere temuto etiam
da quelli che elli aveva intorno: in modo che fu ammazzato da uno centurione in mezzo del
suo esercito.
16. - Dove è da notare
che queste simili morti, le quali seguano per deliberazione d'uno animo ostinato, sono da'
principi inevitabili, perché ciascuno che non si curi di morire lo può offendere; ma
debbe bene el principe temerne meno, perché le sono rarissime. Debbe solo guardarsi di
non fare grave iniuria ad alcuno di coloro de' quali si serve, e che elli ha d'intorno al
servizio del suo principato: come aveva fatto Antonino, il quale aveva morto
contumeliosamente uno fratello di quel centurione, e lui ogni giorno minacciava; tamen lo
teneva a guardia del corpo suo: il che era partito temerario e da ruinarvi, come li
intervenne.
17. - Ma vegnamo a
Commodo, al quale era facilità grande tenere l'imperio, per averlo iure hereditario,
sendo figliuolo di Marco; e solo li bastava seguire le vestigie del padre, et a' soldati
et a' populi arebbe satisfatto; ma, sendo d'animo crudele e bestiale, per potere usare la
sua rapacità ne' populi, si volse ad intrattenere li eserciti e farli licenziosi;
dall'altra parte, non tenendo la sua dignità, discendendo spesso ne' teatri a combattere
co' gladiatori, e facendo altre cose vilissime e poco degne della maestà imperiale,
diventò contennendo nel conspetto de' soldati. Et essendo odiato dall'una parte e
disprezzato dall'altra, fu conspirato in lui, e morto.
18. - Restaci a narrare
le qualità di Massimino. Costui fu uomo bellicosissimo; et essendo li eserciti
infastiditi della mollizie di Alessandro, del quale ho di sopra discorso, morto lui, lo
elessono allo imperio. Il quale non molto tempo possedé; perché dua cose lo feciono
odioso e contennendo: l'una, essere vilissimo per avere già guardato le pecore in Tracia
(la qual cosa era per tutto notissima e li faceva una grande dedignazione nel conspetto di
qualunque); l'altra, perché, avendo nello ingresso del suo principato, differito lo
andare a Roma et intrare nella possessione della sedia imperiale, aveva dato di sé
opinione di crudelissimo, avendo per li sua prefetti, in Roma e in qualunque luogo dello
Imperio, esercitato molte crudeltà. Tal che, commosso tutto el mondo dallo sdegno per la
viltà del suo sangue, e dallo odio per la paura della sua ferocia, si rebellò prima
Affrica, di poi el Senato con tutto el populo di Roma, e tutta Italia li conspirò contro.
A che si aggiunse el suo proprio esercito; quale, campeggiando Aquileia e trovando
difficultà nella espugnazione, infastidito della crudeltà sua, e per vederli tanti
inimici temendolo meno, lo ammazzò.
19. - Io non voglio
ragionare né di Eliogabalo né di Macrino né di Iuliano, li quali, per essere al tutto
contennendi, si spensono subito; ma verrò alla conclusione di questo discorso. E dico,
che li principi de' nostri tempi hanno meno questa difficultà di satisfare
estraordinariamente a' soldati ne' governi loro; perché, non ostante che si abbi ad avere
a quelli qualche considerazione, tamen si resolve presto, per non avere alcuno di questi
principi eserciti insieme, che sieno inveterati con li governi e amministrazione delle
provincie, come erano li eserciti dello imperio romano. E però, se allora era necessario
satisfare più a' soldati che a' populi, era perch' e soldati potevano più che e populi;
ora è più necessario a tutti e principi, eccetto che al Turco et al Soldano, satisfare
a' populi che a' soldati, perché e populi possono più di quelli.
20. - Di che io ne
eccettuo el Turco, tenendo sempre quello intorno a sé dodici mila fanti e quindici mila
cavalli, da' quali depende la securtà e la fortezza del suo regno; et è necessario che,
posposto ogni altro respetto, quel signore se li mantenga amici. Similmente el regno del
Soldano sendo tutto in mano de' soldati, conviene che ancora lui, sanza respetto de'
populi, se li mantenga amici. Et avete a notare che questo stato del Soldano è disforme
da tutti li altri principati; perché elli è simile al pontificato cristiano, il quale
non si può chiamare né principato ereditario né principato nuovo; perché non e
figliuoli del principe vecchio sono eredi e rimangono signori, ma colui che è eletto a
quel grado da coloro che ne hanno autorità. Et essendo questo ordine antiquato, non si
può chiamare principato nuovo, perché in quello non sono alcune di quelle difficultà
che sono ne' nuovi; perché, se bene el principe è nuovo, li ordini di quello stato sono
vecchi et ordinati a riceverlo come se fussi loro signore ereditario.
21. - Ma torniamo alla
materia nostra. Dico che qualunque considerrà el soprascritto discorso, vedrà o l'odio o
il disprezzo esser suto cagione della ruina di quelli imperatori prenominati, e conoscerà
ancora donde nacque che, parte di loro procedendo in uno modo e parte al contrario, in
qualunque di quelli, uno di loro ebbe felice e li altri infelice fine. Perché a Pertinace
et Alessandro, per essere principi nuovi, fu inutile e dannoso volere imitare Marco, che
era nel principato iure hereditario; e similmente a Caracalla, Commodo e Massimino essere
stata cosa perniziosa imitare Severo, per non avere avuta tanta virtù che bastassi a
seguitare le vestigie sua. Per tanto uno principe nuovo in uno principato nuovo non può
imitare le azioni di Marco, né ancora è necessario seguitare quelle di Severo; ma debbe
pigliare da Severo quelle parti che per fondare el suo stato sono necessarie, e da Marco
quelle che sono convenienti e gloriose a conservare uno stato che sia già stabilito e
fermo.