Niccolò Machiavelli
Il Principe
Capitolo XII
Di quante ragioni sia la milizia, e de' soldati mercenarii
Quot sint genera militiae et de mercenariis militibus
1. - Avendo discorso
particularmente tutte le qualità di quelli principati de' quali nel principio proposi di
ragionare, e considerato in qualche parte le cagioni del bene e del male essere loro, e
monstro e modi con li quali molti hanno cerco di acquistarli e tenerli, mi resta ora a
discorrere generalmente le offese e difese che in ciascuno de' prenominati possono
accadere. Noi abbiamo detto di sopra, come a uno principe è necessario avere e sua
fondamenti buoni; altrimenti, conviene che rovini. E principali fondamenti che abbino
tutti li stati, cosí nuovi come vecchi o misti, sono le buone legge e le buone arme. E
perché non può essere buone legge dove non sono buone arme, e dove sono buone arme
conviene sieno buone legge, io lascerò indrieto el ragionare delle legge e parlerò delle
arme.
2. - Dico, adunque, che
l'arme con le quali uno principe defende el suo stato, o le sono proprie o le sono
mercenarie, o ausiliarie o miste. Le mercenarie et ausiliarie sono inutile e periculose;
e, se uno tiene lo stato suo fondato in sulle arme mercenarie, non starà mai fermo né
sicuro; perché le sono disunite, ambiziose, sanza disciplina, infedele; gagliarde fra' li
amici; fra' nimici, vile; non timore di Dio, non fede con li uomini, e tanto si differisce
la ruina quanto si differisce lo assalto; e nella pace se' spogliato da loro, nella guerra
da' nimici. La cagione di questo è, che le non hanno altro amore né altra cagione che le
tenga in campo, che uno poco di stipendio, il quale non è sufficiente a fare che voglino
morire per te. Vogliono bene essere tuoi soldati mentre che tu non fai guerra; ma, come la
guerra viene, o fuggirsi o andarsene.
3. - La qual cosa
doverrei durare poca fatica a persuadere, perché ora la ruina di Italia non è causata da
altro che per essere in spazio di molti anni riposatasi in sulle arme mercenarie. Le quali
feciono già per qualcuno qualche progresso, e parevano gagliarde infra loro; ma, come
venne el forestiero, le mostrorono quello che elle erano. Onde che a Carlo re di Francia
fu licito pigliare la Italia col gesso; e chi diceva come e' n'erano cagione e peccati
nostri, diceva il vero; ma non erano già quelli che credeva, ma questi che io ho narrati:
e perché elli erano peccati di principi, ne hanno patito la pena ancora loro.
4. - Io voglio dimostrare
meglio la infelicità di queste arme. E capitani mercenarii, o sono uomini eccellenti, o
no: se sono, non te ne puoi fidare, perché sempre aspireranno alla grandezza propria, o
con lo opprimere te che li se' patrone, o con lo opprimere altri fuora della tua
intenzione; ma, se non è il capitano virtuoso, ti rovina per l'ordinario. E se si
responde che qualunque arà le arme in mano farà questo, o mercenario o no, replicherei
come l'arme hanno ad essere operate o da uno principe o da una repubblica. El principe
debbe andare in persona, e fare lui l'offizio del capitano; la repubblica ha a mandare sua
cittadini; e quando ne manda uno che non riesca valente uomo, debbe cambiarlo; e quando
sia, tenerlo con le leggi che non passi el segno. E per esperienzia si vede a' principi
soli e repubbliche armate fare progressi grandissimi, et alle arme mercenarie non fare mai
se non danno. E con più difficultà viene alla obedienza di uno suo cittadino una
repubblica armata di arme proprie, che una armata di armi esterne.
5. - Stettono Roma e
Sparta molti secoli armate e libere. E Svizzeri sono armatissimi e liberissimi. Delle arme
mercenarie antiche in exemplis sono Cartaginesi; li quali furono per essere oppressi da'
loro soldati mercenarii, finita la prima guerra con li Romani, ancora che Cartaginesi
avessino per capi loro proprii cittadini. Filippo Macedone fu fatto da' Tebani, dopo la
morte di Epaminunda, capitano delle loro gente; e tolse loro, dopo la vittoria, la
libertà. E Milanesi, morto il duca Filippo, soldorno Francesco Sforza contro a'
Viniziani; il quale, superati li inimici a Caravaggio, si congiunse con loro per opprimere
e Milanesi suoi patroni. Sforza suo padre, sendo soldato della regina Giovanna di Napoli,
la lasciò in un tratto disarmata; onde lei, per non perdere el regno, fu costretta
gittarsi in grembo al re di Aragona.
6. - E, se Viniziani e
Fiorentini hanno per lo adrieto cresciuto lo imperio loro con queste arme, e li loro
capitani non se ne sono però fatti principi ma li hanno difesi, respondo che Fiorentini
in questo caso sono suti favoriti dalla sorte; perché de' capitani virtuosi, de' quali
potevano temere, alcuni non hanno vinto, alcuni hanno avuto opposizione, altri hanno volto
la ambizione loro altrove. Quello che non vinse fu Giovanni Aucut, del quale, non
vincendo, non si poteva conoscere la fede; ma ognuno confesserà che, vincendo, stavano
Fiorentini a sua discrezione. Sforza ebbe sempre e Bracceschi contrarii, che guardorono
l'uno l'altro. Francesco volse l'ambizione sua in Lombardia; Braccio contro alla Chiesa et
il regno di Napoli. Ma vegniamo a quello che è seguito poco tempo fa. Feciono e
Fiorentini Paulo Vitelli loro capitano, uomo prudentissimo, e che di privata fortuna aveva
presa grandissima reputazione. Se costui espugnava Pisa, veruno fia che nieghi come
conveniva a' Fiorentini stare seco; perché, se fussi diventato soldato di loro nemici,
non avevano remedio; e se lo tenevano, aveano a obedirlo.
7. - E Viniziani, se si
considerrà e progressi loro, si vedrà quelli avere securamente e gloriosamente operato
mentre ferono la guerra loro proprii: che fu avanti che si volgessino con le loro imprese
in terra: dove co' gentili uomini e con la plebe armata operorono virtuosissimamente; ma,
come cominciorono a combattere in terra, lasciorono questa virtù, e seguitorono e costumi
delle guerre di Italia. E nel principio dello augumento loro in terra, per non vi avere
molto stato e per essere in grande reputazione, non aveano da temere molto de' loro
capitani; ma, come ellino ampliorono, che fu sotto el Carmignuola, ebbono uno saggio di
questo errore. Perché, vedutolo virtuosissimo, battuto che ebbono sotto il suo governo el
duca di Milano, e conoscendo da altra parte come elli era raffreddo nella guerra,
iudicorono con lui non potere più vincere, perché non voleva, né potere licenziarlo,
per non riperdere ciò che aveano acquistato; onde che furono necessitati, per
assicurarsene, ammazzarlo. Hanno di poi avuto per loro capitani Bartolomeo da Bergamo,
Ruberto da San Severino, Conte di Pitigliano, e simili; con li quali aveano a temere della
perdita, non del guadagno loro: come intervenne di poi a Vailà, dove, in una giornata,
perderono quello che in ottocento anni, con tanta fatica, avevano acquistato. Perché da
queste armi nascono solo e lenti, tardi e deboli acquisti, e le subite e miraculose
perdite. E, perché io sono venuto con questi esempli in Italia, la quale è stata
governata molti anni dalle arme mercenarie, le voglio discorrere, e più da alto, acciò
che, veduto l'origine e progressi di esse, si possa meglio correggerle.
8. - Avete dunque a
intendere come, tosto che in questi ultimi tempi lo imperio cominciò a essere ributtato
di Italia, e che il papa nel temporale vi prese più reputazione, si divise la Italia in
più stati; perché molte delle città grosse presono l'arme contra a' loro nobili, li
quali, prima favoriti dallo imperatore, le tennono oppresse; e la Chiesa le favoriva per
darsi reputazione nel temporale; di molte altre e loro cittadini ne diventorono principi.
Onde che, essendo venuta l'Italia quasi che nelle mani della Chiesa e di qualche
Repubblica, et essendo quelli preti e quelli altri cittadini usi a non conoscere arme,
cominciorono a soldare forestieri. El primo che dette reputazione a questa milizia fu
Alberigo da Conio, romagnolo. Dalla disciplina di costui discese, intra li altri, Braccio
e Sforza, che ne' loro tempi furono arbitri di Italia. Dopo questi, vennono tutti li altri
che fino a' nostri tempi hanno governato queste arme. E il fine della loro virtù è
stato, che Italia è suta corsa da Carlo, predata da Luigi, sforzata da Ferrando e
vituperata da' Svizzeri.
9. - L'ordine che elli
hanno tenuto, è stato, prima, per dare reputazione a loro proprii, avere tolto
reputazione alle fanterie. Feciono questo, perché, sendo sanza stato et in sulla
industria, e pochi fanti non davano loro reputazione, e li assai non potevano nutrire; e
però si ridussono a' cavalli, dove con numero sopportabile erano nutriti et onorati. Et
erono ridotte le cose in termine, che in uno esercito di ventimila soldati non si trovava
dumila fanti. Avevano, oltre a questo, usato ogni industria per levare a sé et a' soldati
la fatica e la paura, non si ammazzando nelle zuffe, ma pigliandosi prigioni e sanza
taglia. Non traevano la notte alle terre; quelli delle terre non traevano alle tende; non
facevano intorno al campo né steccato né fossa; non campeggiavano el verno. E tutte
queste cose erano permesse ne' loro ordini militari, e trovate da loro per fuggire, come
è detto, e la fatica e li pericoli: tanto che li hanno condotta Italia stiava e
vituperata.
Capitolo XIII
De' soldati ausiliarii, misti e proprii
De militibus auxiliariis, mixtis et propriis
1. - L'armi
ausiliarie, che sono l'altre armi inutili, sono quando si chiama uno potente che con le
arme sue ti venga ad aiutare e defendere: come fece ne' prossimi tempi papa Iulio; il
quale, avendo visto nella impresa di Ferrara la trista pruova delle sue armi mercenarie,
si volse alle ausiliarie, e convenne con Ferrando re di Spagna che con le sua gente et
eserciti dovesse aiutarlo. Queste arme possono essere utile e buone per loro medesime, ma
sono, per chi le chiama, quasi sempre dannose: perché, perdendo rimani disfatto,
vincendo, resti loro prigione.
2. - E ancora che di
questi esempli ne siano piene le antiche istorie, non di manco io non mi voglio partire da
questo esemplo fresco di papa Iulio II; el partito del quale non possé essere manco
considerato, per volere Ferrara, cacciarsi tutto nelle mani d'uno forestiere. Ma la sua
buona fortuna fece nascere una terza cosa, acciò non cogliessi el frutto della sua mala
elezione: perché, sendo li ausiliari sua rotti a Ravenna, e surgendo e Svizzeri che
cacciorono e vincitori, fuora d'ogni opinione e sua e d'altri, venne a non rimanere
prigione delli inimici, sendo fugati, né delli ausiliarii sua, avendo vinto con altre
arme che con le loro. E Fiorentini, sendo al tutto disarmati, condussono diecimila
Franzesi a Pisa per espugnarla: per il quale partito portorono più pericolo che in
qualunque tempo de' travagli loro. Lo imperatore di Costantinopoli, per opporsi alli sua
vicini, misse in Grecia diecimila Turchi; li quali, finita la guerra, non se ne volsono
partire: il che fu principio della servitù di Grecia con li infedeli.
3. - Colui, adunque, che
vuole non potere vincere, si vaglia di queste arme, perché sono molto più pericolose che
le mercenarie: perché in queste è la ruina fatta: sono tutte unite, tutte volte alla
obedienza di altri; ma nelle mercenarie, ad offenderti, vinto che le hanno, bisogna più
tempo e maggiore occasione, non sendo tutto uno corpo, et essendo trovate e pagate da te;
nelle quali uno terzo che tu facci capo, non può pigliare subito tanta autorità che ti
offenda. In somma, nelle mercenarie è più pericolosa la ignavia, nelle ausiliarie, la
virtù.
4. - Uno principe, per
tanto, savio, sempre ha fuggito queste arme, e voltosi alle proprie; et ha volsuto più
tosto perdere con li sua che vincere con li altri, iudicando non vera vittoria quella che
con le armi aliene si acquistassi. Io non dubiterò mai di allegare Cesare Borgia e le sue
azioni. Questo duca intrò in Romagna con le armi ausiliarie, conducendovi tutte gente
franzese, e con quelle prese Imola e Furlí, ma non li parendo poi tale arme sicure, si
volse alle mercenarie, iudicando in quelle manco periculo; e soldò li Orsini e Vitelli.
Le quali poi nel maneggiare trovando dubie et infideli e periculose, le spense, e volsesi
alle proprie. E puossi facilmente vedere che differenzia è infra l'una e l'altra di
queste arme, considerato che differenzia fu dalla reputazione del duca, quando aveva
Franzesi soli e quando aveva li Orsini e Vitelli, a quando rimase con li soldati sua e
sopr'a sé stesso e sempre si troverrà accresciuta; né mai fu stimato assai, se non
quando ciascuno vidde che lui era intero possessore delle sue armi.
5. - Io non mi volevo
partire dalli esempli italiani e freschi; tamen non voglio lasciare indrieto Ierone
Siracusano, sendo uno de' soprannominati da me. Costui, come io dissi, fatto da'
Siracusani capo delli eserciti, conobbe subito quella milizia mercenaria non essere utile,
per essere conduttieri fatti come li nostri italiani; e, parendoli non li possere tenere
né lasciare, li fece tutti tagliare a pezzi: e di poi fece guerra con le arme sua e non
con le aliene. Voglio ancora ridurre a memoria una figura del Testamento Vecchio fatta a
questo proposito. Offerendosi David a Saul di andare a combattere con Golia, provocatore
filisteo, Saul, per dargli animo, l'armò dell'arme sua, le quali, come David ebbe
indosso, recusò, dicendo con quelle non si potere bene valere di sé stesso, e però
voleva trovare el nimico con la sua fromba e con il suo coltello. In fine, l'arme d'altri,
o le ti caggiono di dosso o le ti pesano o le ti stringono.
6. - Carlo VII, padre del
re Luigi XI, avendo, con la sua fortuna e virtù, libera Francia dalli Inghilesi, conobbe
questa necessità di armarsi di arme proprie, e ordinò nel suo regno l'ordinanza delle
gente d'arme e delle fanterie. Di poi el re Luigi suo figliuolo spense quella de' fanti, e
cominciò a soldare Svizzeri: il quale errore, seguitato dalli altri, è, come si vede ora
in fatto, cagione de' pericoli di quello regno. Perché, avendo dato reputazione a'
Svizzeri, ha invilito tutte l'arme sua; perché le fanterie ha spento e le sua gente
d'arme ha obligato alle arme d'altri; perché, sendo assuefatte a militare con Svizzeri,
non par loro di potere vincere sanza essi. Di qui nasce che Franzesi contro a Svizzeri non
bastano, e sanza Svizzeri, contro ad altri non pruovano. Sono dunque stati li eserciti di
Francia misti, parte mercenarii e parte proprii: le quali arme tutte insieme sono molto
migliori che le semplici ausiliarie o le semplici mercenarie, e molto inferiore alle
proprie. E basti lo esemplo detto; perché el regno di Francia sarebbe insuperabile, se
l'ordine di Carlo era accresciuto o preservato. Ma la poca prudenzia delli uomini comincia
una cosa, che, per sapere allora di buono, non si accorge del veleno che vi è sotto: come
io dissi, di sopra delle febbre etiche.
7. - Pertanto, colui che
in uno principato non conosce e mali quando nascono, non è veramente savio; e questo è
dato a pochi. E, se si considerassi la prima ruina dello Imperio romano, si troverrà
essere suto solo cominciare a soldare e Goti; perché da quello principio cominciorno a
enervare le forze dello Imperio romano; e tutta quella virtù che si levava da lui si dava
a loro. Concludo, adunque, che, sanza avere arme proprie, nessuno principato è sicuro;
anzi è tutto obligato alla fortuna, non avendo virtù che nelle avversità lo difenda. E
fu sempre opinione e sentenzia delli uomini savi, quod nihil sit tam infirmum aut
instabile quam fama potentiae non sua vi nixa. E l'arme proprie son quelle che sono
composte o di sudditi o di cittadini o di creati tua: tutte l'altre sono o mercenarie o
ausiliarie. Et il modo ad ordinare l'arme proprie sarà facile a trovare, se si
discorrerà li ordini de' quattro sopra nominati da me, e se si vedrà come Filippo, padre
di Alessandro Magno, e come molte repubbliche e principi si sono armati et ordinati: a'
quali ordini io al tutto mi rimetto.
Capitolo XIV
Quello che s'appartenga a uno principe circa la milizia
Quod principem deceat circa militiam.
1. - Debbe adunque uno
principe non avere altro obietto né altro pensiero, né prendere cosa alcuna per sua
arte, fuora della guerra et ordini e disciplina di essa; perché quella è sola arte che
si espetta a chi comanda. Et è di tanta virtù, che non solamente mantiene quelli che
sono nati principi, ma molte volte fa li uomini di privata fortuna salire a quel grado; e
per avverso si vede che, quando e principi hanno pensato più alle delicatezze che alle
arme, hanno perso lo stato loro. E la prima cagione che ti fa perdere quello, è negligere
questa arte; e la cagione che te lo fa acquistare, è lo essere professo di questa arte.
2. - Francesco Sforza,
per essere armato, di privato diventò duca di Milano; e figliuoli, per fuggire e disagi
delle arme, di duchi diventorono privati. Perché, intra le altre cagioni che ti arreca di
male lo essere disarmato, ti fa contennendo: la quale è una di quelle infamie dalle quali
el principe si debbe guardare, come di sotto si dirà. Perché da uno armato a uno
disarmato non è proporzione alcuna; e non è ragionevole che chi è armato obedisca
volentieri a chi è disarmato, e che il disarmato stia sicuro intra servitori armati.
Perché, sendo nell'uno sdegno e nell'altro sospetto, non è possibile operino bene
insieme. E però uno principe che della milizia non si intenda, oltre alle altre
infelicità, come è detto, non può essere stimato da' sua soldati né fidarsi di loro.
3. - Debbe, pertanto, mai
levare el pensiero da questo esercizio della guerra, e nella pace vi si debbe più
esercitare che nella guerra: il che può fare in dua modi; l'uno con le opere, l'altro con
la mente. E, quanto alle opere, oltre al tenere bene ordinati et esercitati li sua, debbe
stare sempre in sulle caccie, e mediante quelle assuefare el corpo a' disagi; e parte
imparare la natura de' siti, e conoscere come surgono e monti, come imboccano le valle,
come iacciono e piani, et intendere la natura de' fiumi e de' paduli, et in questo porre
grandissima cura. La quale cognizione è utile in dua modi. Prima, s'impara a conoscere el
suo paese, e può meglio intendere le difese di esso; di poi, mediante la cognizione e
pratica di quelli siti, con facilità comprendere ogni altro sito che di nuovo li sia
necessario speculare: perché li poggi, le valli, e piani, e fiumi, e paduli che sono,
verbigrazia, in Toscana, hanno con quelli dell'altre provincie certa similitudine: tal che
dalla cognizione del sito di una provincia si può facilmente venire alla cognizione
dell'altre. E quel principe che manca di questa perizia, manca della prima parte che vuole
avere uno capitano; perché questa insegna trovare el nimico, pigliare li alloggiamenti,
condurre li eserciti, ordinare le giornate, campeggiare le terre con tuo vantaggio.
4. - Filipomene, principe
delli Achei, intra le altre laude che dalli scrittori li sono date, è che ne' tempi della
pace non pensava mai se non a' modi della guerra; e, quando era in campagna con li amici,
spesso si fermava e ragionava con quelli. - Se li nimici fussino in su quel colle, e noi
ci trovassimo qui col nostro esercito, chi di noi arebbe vantaggio? come si potrebbe ire,
servando li ordini, a trovarli? se noi volessimo ritirarci, come aremmo a fare? se loro si
ritirassino, come aremmo a seguirli? - E proponeva loro, andando, tutti e casi che in uno
esercito possono occorrere; intendeva la opinione loro, diceva la sua, corroboravala con
le ragioni: tal che, per queste continue cogitazioni, non posseva mai, guidando li
eserciti, nascere accidente alcuno, che lui non avessi el remedio.
5. - Ma, quanto allo
esercizio della mente, debbe el principe leggere le istorie, et in quelle considerare le
azioni delli uomini eccellenti, vedere come si sono governati nelle guerre, esaminare le
cagioni della vittoria e perdite loro, per potere queste fuggire, e quelle imitare; e
sopra tutto fare come ha fatto per l'adrieto qualche uomo eccellente, che ha preso ad
imitare se alcuno innanzi a lui è stato laudato e gloriato, e di quello ha tenuto sempre
e gesti et azioni appresso di sé: come si dice che Alessandro Magno imitava Achille;
Cesare Alessandro; Scipione Ciro. E qualunque legge la vita di Ciro scritta da Senofonte,
riconosce di poi nella vita di Scipione quanto quella imitazione li fu di gloria, e
quanto, nella castità, affabilità, umanità, liberalità Scipione si conformassi con
quelle cose che di Ciro da Senofonte sono sute scritte. Questi simili modi debbe osservare
uno principe savio, e mai ne' tempi pacifici stare ozioso, ma con industria farne
capitale, per potersene valere nelle avversità, acciò che, quando si muta la fortuna, lo
truovi parato a resisterle.