SCOTO ERIUGENA

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Giovanni Scoto , detto Eriugene , ossia originario dell' Irlanda , nato all' inizio del nono secolo , godeva della protezione di Carlo il Calvo e insegnava in una scuola di palazzo nel nord della Francia . Rispondendo alla richiesta di Incmaro , che era ostile alla teoria della doppia predestinazione , Scoto scrisse un' opera intitolata " Sulla predestinazione " , nella quale avvertiva la necessità di comprendere che cosa si può e che cosa non si può dire di Dio ; innanzi tutto , rispetto a Dio , il linguaggio umano si rivela inadeguato , é pertanto fuorviante parlare di pre-destinazione e di pre-scienza a proposito di Dio , perchè Dio non esiste nel tempo , bensì esiste nell' eternità , nella quale non c'é un prima e un dopo . L' anteriorità della prescienza di Dio significa solo che egli nell' eternità ha priorità rispetto alle sue creazioni ; in tal senso la prescienza di Dio fa parte della sostanza divina , che é unitaria , non é un momento o una fase di tale sostanza . Inoltre , é assurdo dire che Dio predestina alcuni uomini alla dannazione , ossia ad un male . Scoto riprende a tal proposito da Agostino la tesi che il male é non essere e quindi non ha senso parlare di una predestinazione a ciò che non é . La posizione di Scoto appare , su questo punto , agli antipodi di quella avanzata da Fredegiso da Tours , morto verso l' 834 . Questi in un' epistola , " Sul nulla e sulle tenebre " , si era posto il problema se il nulla sia qualcosa . Partendo dalle premesse che ogni nome determinato significa qualcosa che é e che anche il termine " nulla " é un nome determinato , egli aveva tratto la conclusione che anche il termine " nulla " significa qualcosa che é : dunque anche il nulla , come le tenebre , é qualcosa . Come risulta dalla Genesi , Dio stesso , nell' atto della creazione , parla di nulla e di tenebre , perciò a questi nomi deve corrispondere qualcosa di reale . Per Scoto , invece , le nozioni di non essere e di male indicano soltanto una mancanza di essere e quindi egli ritiene che non si possa attribuire una qualche consistenza ontologica ad essi . Due sono i mali : il peccato e la punizione di esso , ma nessuno dei due é predestinato da Dio , poichè essi provengono soltanto dalla volontà umana ; infatti é l' uomo che abusa della propria volontà , che di per sè é bene . La punizione non é altro che mancanza e pertanto non é pensata dalla mente divina , che pensa solo a ciò che é ed é bene , essa non consiste che nell' essere nella condizione di peccato , cioè di deficienza , sicchè solo metaforicamente si parla delle pene dell' inferno : l' inferno non é un luogo reale , é nell' interno del peccatore stesso . Scoto , tuttavia , non riprende da Agostino la tesi che la vera libertà consiste solamente nel volere il bene : se Dio avesse dato all' uomo solo la capacità di volere il bene , l' uomo non sarebbe propriamente libero . Il libero arbitrio , consiste , infatti , nella capacità di orientarsi verso il bene o verso il male ; se l' uomo non fosse libero in questo senso , non si potrebbe parlare di giustizia divina . La giustizia consiste infatti nell' attribuire a ciascuno ciò che gli compete secondo i suoi meriti , e il merito é determinato dall' obbedienza ai comandi di Dio , la quale dunque deve essere liberamente prestata . Le tesi sostenute da Scoto apparvero pericolose a Incmaro , che , per evitare di essere coinvolto , disse che lo scitto era una falsificazione ; esso fu però ugualmente condannato nei concili di Valence ( 855 ) e di Langres ( 859 ) . Tuttavia Scoto non interruppe la sua attività presso la corte di Carlo il Calvo , anche se non si ha più notizia di lui dopo la morte del re avvenuta nell' 877 . Nell' 827 il figlio di Carlo Magno , Ludovico Pio , aveva ricevuto in dono dall' imperatore di Bisanzio , Michele , una copia degli scritti attribuiti a Dionigi l' Areopagita , i quali venivano tradotti in latino . Verso l' 858 Scoto , che conosce il greco , li ritraduce su incarico di Carlo il Calvo ; successivamente egli traduce anche uno scritto di Massimo il Confessore oltre a La creazione dell' uomo di Gregorio di Nissa , e scrive un' Omelia al prologo del Vangelo di Giovanni . Ispirato da questi lavori , egli matura la sua opera fondamentale , intitolata " Periphyseon " , ossia " Sulle nature " , conosciuta anche come " La divisione della natura " ; essa ha la forma di un dialogo tra maestro ed allievo ed é composta di 5 libri . Il compito fondamentale che anche Scoto si pone é la comprensione della Scrittura ( in particolare del libro della Genesi ) , che , contenendo la parola di Dio , costituisce l' auctoritas ; ma ad essa Scoto affianca anche le auctoritates dei Padri della Chiesa : quando queste sono in disaccordo , é la ragione che opta per la soluzione migliore . Tra la vera ragione e la vera autorità non può esserci alcun contrasto , perchè entrambe provengono da un' unica sorgente , la sapienza divina . Alla base dell' autorità , tuttavia , c'é la ragione : infatti mentre l' autorità ha bisogno della conferma e del sostegnodella ragione , la ragione non ha bisogno di quello dell' autorità . La ricerca razionale é dunque pienamente giustificata , in quanto le verità alle quali essa conduce non possono che coincidere con le verità della religione . La divisione a cui allude il titolo dell' opera di Scoto , é la procedura della dialettica , di cui aveva parlato Platone , consistente nell' articolazione di una nozione generale nelle sue specie o parti . La nozione che Scoto sottopone a divisione é quella di natura , comprensiva di tutto ciò che é e non é ( quest' ultimo inteso , alla maniera platonica , come negazione e alterità rispetto a ciò che é , non come una sostanza vera e propria ) . La natura universale si articola in 4 nature , che rappresentano il procedere delle creature da Dio e il loro ritorno a Dio . La prima natura non é creata e crea . Questa prerogativa é propria di Dio , che non é creato da nulla e non dipende da una causa o un principio superiore . A proposito di Dio , Scoto riprende gli insegnamenti della teologia neggativa di Pseudo-Dionigi : Dio é al di là di tutto ciò che l' intelletto può comprendere . Egli é anche oltre l' essere , ma il suo non essere non é interpretabile come privazione , ma indica piuttosto la sua superiorità , il suo non essere nessuna delle creature finite e delle loro proprietà : è nihil per excellentiam . In questo senso , si può anche dire che Dio é superessenza . I nomi sono solo metafore , quando sono applicati a Dio , e ciò che la ragione può fare é appunto dimostrare che nulla si può propriamente affermare di Dio . Ma poichè Dio , in quanto crea , é in tutte le creature , può essere conosciuto nelle sue creature : questa manifestazione di Dio nelle cose é la teofania . La tesi secondo cui Dio é nelle creature attirerà su Scoto l' accusa di panteismo , ma in realtà egli ha sempre accompagnato quest' affermazione con il riconoscimento che Dio é anche al di sopra di tutte le creature . La seconda natura è creata e crea . Il primo momento della " processione " delle cose create da Dio é rappresentato dal mondo intellegibile . Esso é costituito dalle cause primordiali di tutte le cose , le quali sono nel Logos e quindi sono coeterne a Dio . Esse sono quelle che la tradizione platonica chiamava idee , modelli o archetipi delle cose . A differenza dei platonici , tuttavia , Scoto non ricorre alla nozione di anima del mondo , nè interpreta antropomorficamente il processo della creazione . In Dio conoscere e fare coincidono , cosicchè la creazione é un atto che scaturisce necessariamente da Dio . Per questo la prima natura creata é costituita dalle idee universali e non dagli esseri empirici accidentali , suscettibili di generazione e corruzione ; dalle idee procedono poi , articolandosi , i generi e le specie . generi e specie sono dunque le realtà autentiche , mentre le cose individuali posseggono realtà solamente in quanto partecipano dei generi e delle specie : così , per esempio , la vera realtà di Socrate é data dal suo essere uomo , più che dalle particolarità strettamente individuali e accidentali che lo riguardano . Il grado di realtà aumenta in proporzione all' universalità , sicchè le vere sostanze , più che gli individui , sono i generi e le specie di cui gli individui partecipano e da cui dipende il loro essere . I primi momenti della teofania sono pertanto le idee o forme primordiali di tutte le cose , che vengono articolandosi in generi e specie . La terza natura é creata e non crea . Essa é il mondo sensibile , che procede dalle forme o cause primordiali , che ne costituiscono insieme il modello e la struttura . E' il mondo nella sua molteplicità , dispersione e caducità . Infatti , il passaggio dal mondo intellegibile a quello sensibile é frutto del peccato dell' uomo . Adamo , se non avesse peccato , sarebbe rimasto nel mondo puramente intellegibile , senza assumere la corporeità : tra la natura angelica e quella umana ci sarebbe stata identità . E' l' anima umana dunque ad essere responsabile di tutto ciò che esiste al di sotto del mondo intellegibile , a partire dal proprio corpo mortale . Come si é visto , le cose individuali hanno il loro vero essere nelle nozioni universali di cui esse sono solo un' esemplificazione . Ma queste nozioni universali sono presenti anche nell' intelletto umano : é dunque dall' intelletto che procedono le vere sostanze delle cose . Ciò significa che nel processo della teofania l' uomo occupa una posizione intermedia tra l' intellegibile e il sensibile , in virtù rispettivamente del suo intelletto e del corpo . Propriamente il corpo é dell' uomo , non é l' uomo . Nonostante il peccato , l' anima umana , in quanto immagine di Dio , rimane incorruttibile . E' dunque ritornando nell' uomo , cioè nel suo intelletto , che tutto si avvia lungo la strada del ritorno a Dio . Dio infatti , oltre che principio , é anche fine di tutte le cose . Il ritorno a Dio inizia già dal mondo sensibile : il corpo si decompone nei 4 elementi e con la resurrezione si spiritualizza , lo spirito torna alle cause primordiali che sono nel Logos e tutto torna allo stato originario che l' uomo , peccando , aveva perduto . Il punto terminale é diventare uno con Dio , adunatio o deificatio . Ma , a differenza di quanto pensavano i neoplatonici antichi , ciò non comporta la perdita dell' individualità delle differenti nature ; nè il " diventare Dio " elimina la trascendenza di Dio stesso . La quarta natura , non creata e non creante , é il fine , il punto di arrivo di questo processo ; essa viene a coincidere con la prima natura , cosicchè il cerchio si chiude . La contemplazione é un momento importante in questo processo di ritorno a Dio , ma la conoscenza razionale non é per Scoto il fine della vita intellettiva , poichè non é in grado di cogliere Dio , che resta imperscrutabile per essa . Di qui l' esaltazione del non sapere e dell' ignoranza , come momenti essenziali dell' ascesa a Dio " si conosce meglio non sapendo " , afferma Scoto . Per questo aspetto il ritorno é mistico , comporta un andare oltre la razionalità , come avevano sostenuto i neoplatonici . Ma il ritorno é anche un processo dell' intero universo : attraverso e con l' uomo , tutte le cose si salvano e tornano a Dio . Il presupposto di ciò é la corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo : nell' uomo si compendia e raccoglie l' intero universo creato . Per tornare a Dio non basta la volontà dell' individuo , occorre il Logos mediatore , che , incarnandosi nello spazio e nel tempo , e assumendo veste umana , in quanto Dio fatto uomo riporta nella sua condizione ideale la realtà umana decaduta a causa del peccato originale . Anche l' Incarnazione assume dunque un significato cosmico . In tal modo Scoto Eriugena intreccia , in un difficile equilibrio , il modello neoplatonico , eterno e atemporale , della processione e del ritorno a Dio con il racconto biblico della creazione , del peccato , della redenzione e della resurrezione finale , che si svolgono nel tempo .

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