L' opposizione del Non-io all' Io non è solo la condizione dell' attività teoretica dell' Io, ma anche quella di pratica. In questo caso, tuttavia, ciò su cui si deve porre l' accento nella correlazione tra Io e Non-io non è più l' azione del Non-io sull' Io (come nel caso della conoscenza), bensì quella dell' Io sul Non-io. In altre parole, se nella conoscenza "l' Io pone se stesso come determinato dal Non-io", nella morale "l' Io pone se stesso come determinante il Non-io". Si è visto, infatti, che l' Io è essenzialmente atto, attività infinita. Il suo compito morale fondamentale è dunque quello di esplicare questa attività, realizzando con ciò la propria destinazione. Ma perché l' attività possa essere esercitata, ci dev' essere qualcosa su cui esercitarla: essa può rivelarsi soltanto attraverso lo sforzo con cui oppone se stessa a una resistenza, a un ostacolo, a una materia inerte. Questo elemento resistente è il Non-io, la natura, intesa kantianamente sia come natura esterna, come mondo oggettivo che limita la libertà d' azione del soggetto, sia come natura interna, come "sistema della sensibilità e degli impulsi", che dev' essere soggiogato perchè possa risplendere la purezza della volontà razionale. Il dovere morale supremo è quindi quello della libertà , con la quale l' Io puro realizza la sua indipendenza dal mondo della natura. Tuttavia la liberazione completa e definitiva dell' Io dal Non-io, dalla natura, non è mai conseguibile in un essere finito come l' uomo: ad ogni vittoria dell'Io sul Non-io succede immediatamente la ricomparsa di un nuovo Non-io (che l' Io stesso inconsciamente oppone a se stesso) e la lotta continua. La liberazione dell' uomo dalla natura è quindi un compito infinito e la completa indipendenza del soggetto dall' oggetto è un ideale a cui (al pari della "sanità" kantiana) ci si deve avvicinare indefinitamente, sebbene non lo si possa raggiungere mai. La morale di Fichte è dunque un' etica dell' azione, dell' intrapresa e del lavoro, nella quale è fortemente sentita l' esigenza di un intervento nell' ambito politico sociale. Il mondo appare il teatro in cui l' uomo deve agire per realizzare la propria libertà. In questo senso, l' attività pratica rappresenta la vera "missione dell' uomo" e vanta pertanto un primato rispetto a quella teoretica. Per questo la filosofia di Fichte è stata anche detta idealismo etico . Occorre tuttavia notare che un' autentica liberazione dalla natura comporta sempre il riferimento a quell' attività, puramente teoretica, con cui l' Io coglie la dipendenza del Non-io da se stesso, come sua produzione, ed afferma in questo modo la propria piena autonomia nei suoi confronti. Nell' etica fichtiana l' esaltazione estrema dell' azione coincide a volte con il riconoscimento dell' infinito valore pratico di un puro atto di pensiero. Da questa concezione dell' azione morale è strettamente dipendente la nozione del male, così come essa viene illustrata nella prima fase del pensiero etico di Fichte, che culmina nel Sistema della dottrina dei costumi del 1798. Il male non è un principio metafisico, che si contrapponga positivamente al bene, come suo antagonista. Di esso Fichte ha (momentaneamente) una concezione puramente negativa, non nel senso di una mancanza di essere (come nella tradizione che va da Plotino a Leibniz), bensì di una carenza di azione. Il male consiste, infatti, nell' accidia, nella pigrizia e nell' inerzia morale, nell' insufficiente forza spirituale che impedisce al soggetto di affermarsi come signore della natura. Nulla è più spregevole per Fichte che perdersi nella ricerca del piacere sensibile e del riposo come fini a se stessi. In una parola, la radice del male consiste nell' assopimento dell' energia morale dell' uomo. All' etica illuministica, fondata sulla ricerca della felicità e sull' obbedienza alla natura, Fichte oppone un' etica del sacrificio, dell' attivismo eroico che nega ogni limite e ogni condizionamento naturale. In ciò egli ricupera, in parte, il rigorismo kantiano, con la sua polemica contro i moventi sensibili dell' azione (tra cui in primo luogo la felicità). Ma in Kant il principio morale che stava a monte di questo atteggiamento era rigorosamente razionale e dava luogo a una legge morale che, per quanto puramente formale, forniva regole precise per per la determinazione, quasi tecnica dei singoli casi. In Fichte, invece, il fondamento della morale , sebbene venga sempre denotato come "ragione", si configura talvolta come una spiritualità ispirata, nella quale l' entusiasmo (tanto rifiutato dall' illuminista Kant) conduce all' esaltazione di un'attività che ha valore in se stessa e che è tanto più valida quanto più è illuminata e incondizionata.